di Andrea Di Betta
Sfogliando le pagine della Bibbia è possibile trovare la chiara differenza tra i gioielli nel mondo femminile e quello maschile. Il Cantico dei Cantici ci evoca “Belle sono le tue guance fra gli orecchini, il tuo collo tra i fili di perle. Faremo per te orecchini d’oro, con grani d’argento”, dove le linee dei metalli preziosi seguono ed esaltano l’incarnato e le forme della donna, mentre nella Genesi si cita “Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d’oro”: una contrapposizione tra il bello femminile e il funzionale dell’uomo, un contrasto tra l’arte e la dignità. Non a caso ho scelto un libro ispirato da Dio per evidenziare questo contrasto, perché quelle pagine hanno condizionato, e condizionano, l’evoluzione sociale del mondo occidentale.
Le case regnanti d’Europa, nobiltà di sangue governanti per grazia divina, hanno sviluppato nei secoli convenzioni sociali per sancire e attribuire rispettabilità e gratitudine ai loro più valenti sudditi, ossia gli ordini cavallereschi. Quindi, facendo un ragionamento “borghese” nel susseguirsi dei secoli nulla è cambiato: dal faraone al re, dall’anello all’insegna, la sostanza delle cose rimane la stessa.
L’Ordine costantiniano di San Giorgio risponde pienamente a questa logica: è il titolo d’onore più antico del mondo, poiché fa risalire la sua fondazione alla data del 28 ottobre 312 d.C., giorno della battaglia di Ponte Milvio, quando, sotto quell’insegna, Costantino sconfisse le forze di Massenzio e venne poi subitamente proclamato imperatore d’Occidente; ma soprattutto è l’eredità del Comneno, ultimo imperatore d’Oriente di Bisanzio, che nel 1698 porta ulteriore dignità al casato di Francesco, duca di Parma e Piacenza. Nei secoli il lascito di nobiltà dell’Ordine si venne a intrecciare e intricare nelle genealogie dei Farnese e dei Borbone, che impiantarono il Gran Magistero a Napoli, nonostante venisse meno la chiara condizione statutaria legata alla sovranità del ducato.
Solo con la Restaurazione nel 1816, l’arciduchessa Maria Luigia, consorte del decaduto Napoleone, ma soprattutto figlia dell’Imperatore degli Asburgo, ricompose la questione statutaria dell’Ordine costantiniano di San Giorgio nominando, poco dopo il suo insediamento, nove cavalieri di giustizia e tredici cavalieri di merito. Questo atto era volto sicuramente ad affermare la piena titolarità del Ducato e soprattutto, in forza del sangue imperiale, costituì la diarchia dell’Ordine tra Parma e Napoli; tale situazione anomala si ricompose solo col sangue di Carlo Ludovico Borbone, nel 1847.
Nei ritratti istituzionali di Maria Luigia c’è la donna con i diademi, gli orecchini e le collane ma anche l’uomo di Stato con la fascia celeste e Croce dell’Ordine di San Giorgio. Una croce greca d’oro gigliata, smaltata di porpora, è caricata alle estremità dalle lettere IHSV (In Hoc Signo Vinces), al cuore porta il Cristogramma e sui bracci, ha le lettere greche Alfa ed Omega; insomma un’elaborata insegna che racchiude l’arte orafa e l’autonomia del ducato di Parma e Piacenza.
Copertina: Giovan Battista Borghesi, Maria Luigia, duchessa di Parma e Piacenza, 1839, Galleria Nazionale Parma